Quel giorno, un sole sgargiante si spandeva nel cielo del Paese dell’Uva e l’aria frizzante e pulita invitava a respirare a pieni polmoni per non perderne neanche una molecola!

Era il maggio del lontano 1924, da sempre il mese delle rose e delle spose ed io, seduta sul calesse di papà, stretta nell’abito di organza che avevo cucito io stessa nelle lunghe sere d’inverno, le mani sudate e il cuore in tumulto per l’emozione, mi avviavo sul sentiero che porta alla piccola Chiesa.

Percorrevo il sentiero della vita che conduce ogni giovane donna al grande passo: il matrimonio.

Vent’anni compiuti a marzo, un corpo ancora acerbo, di una magrezza esagerata. I lineamenti delicati scolpivano un viso grazioso dallo sguardo profondo e il sorriso sbarazzino incorniciato da folti capelli color della terra. Questa era io, Amalia.

Mentre papà nel suo abito migliore spronava il cavallo, la mia mente tornò all’agosto di due anni prima, quando tutto era cominciato …

― Amalia? ― chiamò mio padre ― sbrigati, dobbiamo andare a tagliare l’erba per i conigli.
― si papà, un attimo ― risposi dalla cucina, intenta a riordinare, cosa che facevo abitualmente da quando, la polmonite si era portata via la mamma ― finisco quà e arrivo!
In un batter d’occhio balzai in sella a Laika, la mia cavalla pezzata, e fui dietro al carretto di papà. Mi piaceva un sacco immergermi nella campagna e ascoltarne le voci anche se si trattava di lavoro. E poi aiutare papà mi faceva sentire orgogliosa.
― Hai notato che c’è una piccola casa sul fiume poco distante da qua? ― dissi
― Si, lo so, è la casa dei Saglietti, ma da quando i genitori sono morti, ci vive il figlio da solo e in paese dicono che sia un tipo un po’ losco.
― Ohh papà, lo sai come sono in paese, sempre a spettegolare su questo e quello e poi magari neanche lo conoscono!
― Comunque sia, tu stanne fuori ― sentenziò mio padre. Amalia al vecchio mulino

La giornata trascorse tranquilla, presi dalle solite occupazioni, ma l’idea di quel ragazzo che viveva solo sul fiume si insinuò nei miei pensieri come un tarlo nel legno. Non c’era niente da fare, quando mi si proibiva una cosa era come incitarmi a farla!

Passò qualche giorno e mio padre dovette recarsi da un conoscente per l’acquisto di un terreno confinante e, rimasta sola, la mia indole ribelle ebbe il sopravvento. Ecco cosa avrei fatto: sarei andata in perlustrazione sul fiume!
Il sole era alto e nei campi era tutto un frinire di cicale, la strada da fare era un po’ lunga ma avrei fatto tranquillamente in tempo per il ritorno di mio padre. In groppa alla mia Laika mi sentivo una regina senza macchia e in breve attraversammo campi e boschi per approssimarci alla meta. Avevamo appena superato il vecchio mulino abbandonato quando un tuono in lontananza ci fece sussultare. Laika nitrì nervosa, così tirai un po’ le redini per tranquillizzarla. Il tempo era cambiato repentinamente e io sapevo che i temporali dalle nostre parti facevano paura, perciò dovevo sbrigarmi a trovare un riparo. Lanciai Laika in una corsa sfrenata e d’un tratto ci ritrovammo impantanati in un fondo melmoso. Laika si arrestò improvvisamente ed io fui disarcionata e catapultata alcuni metri più in là.

Laika frenò improvvisamente

― Serve aiuto? un ragazzo abbronzato, con un’espressione divertita era chino su me.
Non c’è un bel niente da ridere, pensai e indispettita risposi ―No, grazie, me la cavo benissimo!
― Va bene, come volete, allora vado a vedere come sta il cavallo ― rispose lui, e ciò detto, si avviò in direzione di Laika. Ma che impudente, pensai furiosa.
Mi alzai a fatica, indolenzita e piena di fango dalla testa ai piedi.
― Che disastro! Sarà dura non farmi scoprire da papà conciata così.
Intanto il ragazzo aveva portato Laika in riva al fiume e la stava ripulendo. A malincuore mi avviai verso di loro …
Era alto e possente, i folti capelli castani sulle spalle, lo sguardo fiero che sembrava penetrarti, mani grandi e callose di chi è abituato a lavorare sodo, eppure quel sorriso beffardo me lo rendeva estremamente antipatico.
― Lasciate, faccio io ― dissi, cercando di allontanarlo da Laika.
― Su, non fate così, non vorrete mica tenermi il muso tutto il giorno solo perché ho riso di voi, ma vi siete vista? E prendendomi per mano mi spinse dolcemente verso l’acqua ― guardate voi stessa ―
Fu in quel momento che mi resi conto della mia faccia, sembrava una maschera di creta con schizzi di fango tra i capelli, sulla fronte e persino sulla punta del naso … ― Oh mio Dio! Esclamai inorridita.
― Ora capisco perché ridevate, vi chiedo scusa se sono stata insolente.
― Non fa niente, che ne dite se ci avviamo? Sta iniziando a piovere ― disse indicando la casa.
― No, non posso … ― e il mio pensiero andò agli avvertimenti di mio padre ― devo tornare indietro subito, è già tardi ― l’ansia cominciò ad assalirmi.
― Ma non potete mettervi in viaggio in queste condizioni e per di più sotto la pioggia― disse lui ignaro delle mie preoccupazioni ― Entrate solo il tempo necessario a cambiarvi e, passato il temporale vi rimettete in cammino.
― Cambiarmi?! Ma voi siete matto ― dissi categoricamente ― pensate davvero che mi cambierei in casa vostra, per chi mi avete presa?
― Sentite, io volevo solo essere gentile ma se la mettete così allora montate a cavallo e tornatevene da dove siete venuta ― disse lui spazientito.
Aveva ragione, accidenti! Perché mi stavo comportando come una bigotta quando proprio io non mi ero mai curata delle apparenze? Un brivido mi scosse sotto gli abiti fradici.
― D’accordo andiamo … ma non mi cambio ― risposi cocciutamente. Lui con un sorriso mi fece strada.

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