Giuditta

Papà non aveva perso tempo. Il giorno seguente si recò dalla sorella Giuditta per proporle di insegnarmi a cucire e lei, che era sempre tanto sola, fu così entusiasta e lusingata dalla richiesta che volle cominciare l’indomani stesso!
A essere sincera, io non ero altrettanto elettrizzata dall’idea di passare tanto tempo con la zia, specie ora che avevo conosciuto Andrea e non vedevo l’ora di sgattaiolare da lui, ma se proprio dovevo …

La mattina dopo mi alzai di buon’ora. Si preannunciava un’altra giornata di fuoco, il sole ancora pallido emanava già un caldo soffocante e dalla terra nei campi si levava una nebbiolina evanescente. Mi rinfrescai con un bel catino di acqua fresca, rassettai le camere e preparai la colazione per me e papà. Mi offrii di aiutarlo nella vigna a togliere le erbacce, spuntare i tralci troppo lunghi e diradare i grappoli ma lui, che aveva già capito dove volevo andare a parare, mi disse che poteva cavarsela benissimo da solo. Così, un po’ riluttante, presi Laika e mi incamminai verso il paese.

Zia Giuditta abitava in centro paese a mezz’ora di strada da noi, che invece stavamo in collina circondati dai vigneti. Imboccai il vialetto di terra battuta, al fondo del quale si scorgeva una graziosa casetta a due piani immersa nei cespugli di ortensie blu.

Casa di zia Giuditta

Non dovetti nemmeno bussare perché lei era già fuori ad aspettarmi, l’espressione contenta ed apprensiva allo stesso tempo. Solo quando le fui accanto mi resi conto di quanto fosse alta, troppo alta per essere una donna! Il fisico asciutto poi, la faceva sembrare ancora più alta con quell’andatura un po’ barcollante e sgraziata che pareva una canna in balìa del vento. Avrà avuto una sessantina d’anni ma era ancora arzilla, con quegli occhietti vivaci che spiccavano nel volto rugoso macchiato dalle lentiggini. I capelli raccolti in un’acconciatura austera con una grossa treccia che le contornava il viso, erano grigi con qualche striatura di biondo ramato che raccontava di una giovinezza lontana.
Mi accolse con un largo sorriso e in un attimo percepii il suo desiderio di abbracciarmi, ma io mi ritrassi prontamente e, passandole a fianco, mi infilai in casa. Forse ero stata scortese ma non me la sentivo di accettare tali effusioni la prima volta che la incontravo – in fondo per me era un’estranea!

Mi trovai in una stanzetta stipata di tutto: una stufa per cucinare e riscaldarsi, un tavolo e tre sedie di legno, mestoli appesi in cucina, mensole piene di oggetti, una sedia a dondolo, un divanetto, una lampada da terra, altre mensole zeppe di rocchetti di filo, forbici, aghi, cartamodelli e … una magnifica macchina da cucire Singer, tutta decorata!!! E poi, rotoli di tessuti appoggiati ai muri e manichini pronti per indossare le sue creazioni. Tre finestre su ogni parete inondavano di luce quella stanza-laboratorio che sprizzava energia positiva. Sul divano stava accoccolato Blick, un cagnolino simpaticissimo, che appena mi vide saltò giù e comincio a strofinarsi sulle gambe per essere preso in braccio.

Giuditta e Amalia

Stranamente mi sentii subito a mio agio in quel disordine “controllato”. E qualcosa mi diceva che con Giuditta sarei stata bene. ― Vuoi bere o mangiare qualcosa, cara? ―
― No grazie zia, ho appena fatto colazione ― risposi con garbo.
― Comunque se più tardi ti venisse fame ho dei fagottini con le mele che dovrebbero piacerti ― aggiunse Giuditta. ― Volentieri, ci farò un pensierino! ―
― Allora, che ne dici di metterci all’opera? Per le presentazioni avremo tempo. Sai, ci sono lavori lunghi e noiosi come, l’imbastire, il sorgettare o levare le imbastiture, che si fanno più volentieri chiacchierando e quella sarà la nostra occasione per far conoscenza. ― Quest’affermazione mi prese un po’ in contropiede ma allo stesso tempo mi sollevò – io non amavo trattenermi con le mie coetanee proprio perché non sapevano fare altro che cianciare e non mi pareva vero che lei fosse, come me, una donna di poche parole.
― Certo zia, sono pronta! ―
Affaccendata com’ero ad apprendere i primi rudimenti di sartoria, le ore volarono. Venne l’ora di pranzo e facemmo una pausa sbocconcellando un po’ di pane con le noci accompagnato da un mezzo bicchiere di vino buono. Un pasto frugale ma nutriente che ci diede la carica giusta per affrontare il pomeriggio.
― Ma lo sai che non te la cavi niente male? ― disse Giuditta entusiasta ― Grazie zia, ma credo che sia anche merito della tua pazienza! ―
― Vogliamo provare a fare qualche cucitura a macchina? Vedrai, una volta capito il meccanismo, non è poi così difficile … ― Io non aspettavo altro!

Amalia alla macchina da cucire

― Vieni cara, siedi qui, appoggia i piedi sul pedale, così, alza l’ago e il piedino e metti sotto la stoffa ― zia Giuditta mi impartiva le istruzioni stando in piedi a fianco a me ― Quando sei pronta, abbassa il piedino e avvia la manovella sulla tua destra, sentirai che il pedale comincia a muoversi. Tu non devi fare altro che seguire con i piedi il movimento senza contrastarlo. In questo modo la macchina inizia a cucire. Facile, no? ―
― Tutto chiaro ― dissi convinta. Ago e piedino su, stoffa in posizione, ago e piedino giù, manovella e viaaaa! Il pedale iniziò a ruotare vorticosamente … avevo dimenticato di metterci i piedi sopra e zia Giuditta prontamente allungò un piede per bloccarlo. ― Scusa ―
― Non ti preoccupare, riprova, questa volta andrà meglio ―
Piedi sul pedale, ago e piedino su, stoffa in posizione, ago e piedino giù, giro di manovella e … si parteeee! Ma non appena il pedale intraprese il suo moto perpetuo, i miei piedi nervosi, anziché seguirlo docilmente iniziarono a scalpitare come un cavallo imbizzarrito e la macchina si bloccò bruscamente con uno scrash rovinoso. ― Mamma mia, cosa ho combinato adesso? ― esclamai in preda all’agitazione. Zia Giuditta cercò di dissimulare la sua preoccupazione per non infierire, ma restava il fatto che avevo spezzato l’ago. ― Ehh beh, si è rotto l’ago! Non è tanto grave, dobbiamo solo perdere un po’ di tempo per sostituirlo e fortunatamente ne ho sempre qualcuno di scorta ― disse con un sospiro. ― Così avrai anche modo di vedere come si cambia l’ago ― aggiunse con fare accomodante.
― Mi dispiace, zia, non so come sia capitato … ― dissi mortificata.
― All’inizio è normale che succedano queste cose, vedrai che quando ci avrai preso la mano riderai di questi piccoli incidenti! Sai che ti dico? Cambiamo l’ago e poi facciamo merenda ― disse Giuditta con aria di complicità. ― Ci sto! ― esclamai con sollievo ― E poi riproviamo ―
― Mmm, forse è meglio che per oggi ci fermiamo qua, non vorrei finire gli aghi ― disse ridendo. Scoppiai in una risata liberatoria che contagiò anche lei e continuammo a ridere di gusto anche mentre divoravamo i suoi fantastici fagottini di mele.
Nel tempo rimasto mi insegnò ancora qualche punto a mano e poi mi fece vedere alcuni dei suoi lavori, tra i quali, uno splendido copriletto in patchwork, ancora da finire. ― Se ti piacerà cucire, potresti darmi una mano a finirlo, sarebbe un’esperienza molto utile per te, nel caso volessi fartene uno per il tuo corredo ―
―Si, potrebbe essere un’idea, ma per cominciare vorrei imparare a farmi dei vestiti ― dissi risoluta.

La giornata volgeva al termine con il suo tramonto migliore e in quelle ore trascorse con zia Giuditta avevo avuto modo di ricredermi sul suo conto. Avevamo lavorato fianco a fianco e lei aveva saputo incuriosirmi con simpatia e modestia.

Giuditta cuce
― Bene, adesso direi di sgombrare il tavolo e ritirare ordinatamente tutto quanto. Vedi, anche questo fa parte di un buon metodo di lavoro ― stava dicendo Giuditta ― Certo zia ― risposi e alzando gli occhi dalla stoffa non potei fare a meno di ammirare il cielo infuocato fuori dalla finestra … in quel mentre passò Baldo, fulmineo.
Cosa ci faceva il cavallo di Andrea da quelle parti?!

In men che non si dica schioccai un bacio sulla guancia di Giuditta e farfugliando un saluto sbrigativo, mi precipitai fuori, lasciandola attonita con tutto quel disordine.
– Andrea! – chiamai trafelata. Lui era pochi metri più in la e stava già montando a cavallo per imboccare il sentiero quando gli giunse il mio richiamo: si voltò e disse trasecolato ― Amalia? Non sapevo che abitaste qui … ―

Amalia e Andrea
―No, infatti qui ci abita mia zia, io sono solo venuta a prendere lezioni di cucito ― spiegai.
― E voi, qual buon vento vi porta da queste parti? ― gli chiesi
― Sono passato dalla bottega di Ernesto, il falegname, a lasciargli la mia ultima scultura, sembra che abbia trovato un compratore ― rispose Andrea. ― Che scultura? ― chiesi curiosa. ― Una piantana di legno a forma di donna che serve a sorreggere una lampada ―
― Caspita! ― esclamai ― Ma allora siete in gamba! ―
― Io so che c’è anche Prospero, il fabbro, che ha dei buoni clienti che spesso gli chiedono oggetti in legno, dovreste sentire anche lui … ―
― Per carità, meglio perderli che trovarli lui e quella petulante di sua figlia Luisella! Piuttosto, quando mi riportate l’abito di mia mamma?! ― mi chiese Andrea, tagliando corto. ― Si, avete ragione, devo restituirvi l’abito … ― risposi pensierosa con l’aria colpevole. – Ci siete cascata, stavo scherzando! – disse Andrea ridendo. – Lo so che dovete trovare il momento giusto per venire da me, ma vi aspetterò ― ciò detto, mi diede un buffetto sulla guancia e si dileguò nell’ombra della sera prima che potessi obiettare.

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