Amici

Era una cascina in stile vittoriano dall’aspetto decadente ma dentro era ordinata e accogliente e la cosa mi stupì parecchio perché non riuscivo ad immaginare un uomo che sbriga le faccende di casa. Mio padre era una pasta d’uomo, ma mai avrebbe lavato un piatto o rifatto un letto!
La casa si sviluppava su due piani: al piano terra c’era un ampio stanzone che fungeva da cucina e da soggiorno, con un grosso camino, la credenza, il tavolo, le sedie impagliate, un divano foderato con stoffa consunta e sculture in pietra e legno di varie fogge, sparse ovunque, a testimoniare l’animo d’artista del suo inquilino.

In bella vista c’era una sorta di fontanella di pietra dalla quale sgorgavano zampilli di acqua fresca. Un marchingegno che lui stesso aveva ideato e costruito per pescare l’acqua dal fiume vicino. Era così invitante che subito ne approfittai per lavarmi il viso e i capelli sporchi di fango!

Di fianco c’era una stanzetta colma di sacchi di grano, fagioli secchi e sementi e in fondo sulla sinistra la stalla con due cavalli e una mucca. Sul retro le gabbie dei conigli e le galline che razzolavano libere.
Al piano superiore dovevano esserci le stanze da letto.
Mi offrì una tisana di rosa canina
Il ragazzo, premuroso, mi portò qualcosa per asciugarmi e mi offrì una tazza di tisana di rosa canina col miele.
Semplicemente meravigliosa!
La tracannai d’un fiato e, stemperata la diffidenza iniziale, ci tuffammo in una fitta conversazione scandita dal piacevole ticchettio dell’imponente orologio a pendolo che troneggiava nella sala. Lui mi parlò della sua famiglia, di come trascorreva le giornate e della sua grande passione per la scultura.

Io, allo stesso modo, gli parlai di papà, del lavoro nei campi e del mio sogno di imparare a cucire e ricamare.

Ci fu un momento di pausa e solo allora ci rendemmo conto di non esserci nemmeno presentati!
― A proposito, come vi chiamate?
―Amalia ― dissi io, e voi? ―Andrea ― rispose lui.

Chiacchierammo come due vecchi amici per più di un’ora mentre fuori il cielo denso di nubi scure era solcato a tratti da lampi che proiettavano bagliori sinistri nella stanza: il temporale infuriava piegando i rami degli alberi come fuscelli, i sassi nell’alveo del fiume gonfio d’acqua rotolavano producendo un acciottolio inquietante ed io avrei dovuto tornare a casa al più presto per non farmi scoprire da papà, ma come facevo con quel tempaccio e per giunta col vestito inzaccherato?


― È ancora valida la vostra offerta di abiti asciutti? ―
Andrea mi lanciò un sorriso malizioso ― Certo! ―
― Quella faccia da farinel non vi fa onore, promettete di restare qui buono mentre vado nell’altra stanza a cambiarmi ―
― Tranquilla, promesso! ― disse lui con una strizzatina d’occhi.
― Venite ― e si avviò per la scala che portava al piano superiore.
Dal pianerottolo si intravedevano due stanze: una piccolina un po’ in disordine con un balconcino che dava sul fiume, che doveva essere la camera di Andrea e un’altra accanto, con la porta chiusa, che era stata dei genitori. C’era poi un lungo ballatoio che portava al fienile.
Andrea spinse la porta della camera chiusa e mi invitò ad entrare mentre si accingeva ad aprire l’armadio.
Rimasi sulla soglia titubante, presa da un senso di imbarazzo. Chissà da quanto tempo nessuno entrava più in quella stanza … ― Non restate lì impalata, entrate! ― la voce di Andrea mi distolse dai miei pensieri. Entrai.
Sulla mia sinistra il grande lettone matrimoniale, di fronte il comò con lo specchio, una vecchia poltroncina e, oltre il letto, l’armadio aperto. Involontariamente incrociai lo sguardo di Andrea che questa volta mi rassicurò. ― Su avvicinatevi, non mordo mica! ―
― Qui ci sono i vestiti di mia madre, sono un po’ vecchi ma almeno sono asciutti, prendete quello che volete ―
― Grazie, uno qualunque andrà benissimo ― dissi con modestia e riconoscenza.
Lui uscì, richiuse la porta dietro di sé e lo udii scendere le scale.
Velocemente mi liberai degli indumenti bagnati e indossai un completo a fiori che mi sembrò l’unico che potesse adattarsi alla mia esile figura.
Amalia indossò un abito a fioriIn un impeto di vanità l’occhio cadde sullo specchio: sembravo mia nonna! Ravviai i capelli con le dita e li raccolsi morbidamente sulla nuca con due forcine trovate nella tasca della gonna, lasciando ricadere qualche ciocca sui lati del viso. ― Decisamente meglio! ― pensai e raccolti i vestiti bagnati, mi affrettai a scendere al piano di sotto. Amalia si affrettò a scendere le scale

Però, se non fosse per il vestito, sembrate un’altra!  Sorrisi compiaciuta per il complimento, l’acconciatura aveva fatto colpo. ― Vi ringrazio per tutto, ma ora devo proprio andare ―
― Si, capisco ― disse Andrea ― venite, vi accompagno fuori ― Mi diede una sacca in cui riporre le mie cose e ci dirigemmo verso la stalla a prendere Laika. Aveva smesso di piovere e il sole disegnava uno splendido arcobaleno sui flutti tumultuosi del fiume. La natura si stava quietando anche se rivoli d’acqua continuavano a scorrere via dalla terra per asciugarla.
Montai in sella a Laika e a malincuore salutai Andrea, chissà quando lo avrei rivisto … non ero ancora andata via e già mi mancava! Mi voltai e imboccai il sentiero verso il bosco. Anche Laika sembrava imbronciata e trotterellava senza troppo entusiasmo a testa china. Avevamo percorso poco meno di un kilometro quando d’un tratto avvertii uno scalpitio alle mie spalle: trasalii di paura, non era saggio attraversare il bosco da sola all’imbrunire. Mi girai di scatto e vidi Andrea sul suo cavallo bruno dietro di me!!!

sulla strada del ritorno
― Beh?! Che ci fate qua? ― dissi sorpresa ― Vi scorto, potreste perdervi! ―
― Ma va la! Li conosco come le mie tasche questi posti ― esclamai fingendo sicurezza, ma in cuor mio ero felice che fosse lì con me!

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