A casa!

Giunti alle porte del paese, Andrea mi lasciò proseguire da sola per non dar adito a chiacchiere sul mio conto ed io gli promisi di riportargli l’abito di sua mamma … ma, in verità, era solo una scusa per rivederlo!

Continuavo a chiedermi perché in paese parlassero male di lui. Era stato così gentile ed educato che, nemmeno per un istante avrei potuto credere che fosse una cattiva persona. A pensarci bene si era parlato di tante cose ma lui aveva accuratamente evitato di dirmi cosa lo tenesse lontano dalla comunità. Andrea non si faceva vedere neanche a messa la domenica.
Il che aggravava ulteriormente la sua posizione!
Decisi che avrei rispettato il suo segreto: avrebbe scelto lui se e quando parlarmene.

I rintocchi delle campane mi ricordarono che dovevo sbrigarmi se volevo arrivare a casa prima di papà. L’ultimo tratto di strada lo feci di volata, con il cuore che mi batteva forte nelle tempie mentre entravo nel cortile di casa e portavo Laika nella stalla.

Amalia con Laika nella stallaMirches, il cane bastardino che avevo salvato da morte certa l’inverno prima, mi venne incontro scodinzolando, poi mi fiutò curioso e infine iniziò a leccarmi. Ricambiai distrattamente le sue attenzioni mentre scrutavo intorno a me per capire se papà era già rientrato. Vidi con sollievo che tutto era come l’avevo lasciato. Forse avrei fatto anche in tempo a togliermi quell’abito orribile che non sapevo come giustificare. Corsi verso la porta per raggiungere la mia camera ma in quel mentre vidi la figura di mio padre in sella a Teddy – il suo cavallo moro – far capolino al bivio e lì mi resi conto che non avevo più scampo! Approfittai della manciata di minuti che mi restavano per entrare in casa e farmi trovare intenta a preparare la cena: fortuna che papà non era esigente a tavola.
Per il vestito … beh, avrei improvvisato!

Amalia in cucina

Papà attraversò il cortile tenendo Teddy per le briglie e agitando la mano mi salutò com’era solito fare al suo ritorno. Io ricambiai attraverso i vetri della cucina con un generoso sorriso.
― Ciao, che c’è per cena? Ho una fame da lupi ― chiese papà entrando. Caspita, pensai, proprio stasera che ho fatto tardi! ― Sto facendo una zuppa col pomodoro e poi abbiamo delle uova e della toma da mangiare col pane che ho fatto ieri … ― dissi cercando di dissimulare la mia preoccupazione.

― Ottimo! ― disse papà con entusiasmo. Era di buon umore, segno che gli affari erano andati bene. Estrasse dalla sua sacca di pelle dei documenti e inforcò gli occhiali.

Fu allora che alzò lo sguardo su di me e si accorse del mio strano abbigliamento.

― Da dove esce quel vestito?! ― mi chiese con aria interrogativa ―più brutto non c’era? Ti fa più vecchia della zia Giuditta ― disse con disappunto.
― Hai ragione papà, il fatto è che ho provato a cucirmi un vestito nuovo con la stoffa di alcune vecchie tende che ho trovato nel baule di mamma e … lo so, mi fa un po’ goffa, ma sono abbastanza soddisfatta di me, per non saper cucire …―
―Beh, se l’hai fatto tu, allora si spiega tutto! Ma resta comunque brutto – ascolta me – usalo per le tende e se vuoi un vestito nuovo, la stoffa andiamo a comprarla in bottega e la più bella che c’è per la mia bambina! ―

compriamo la stoffa più bella che c'è

Che tesoro era il mio papà! Sotto quel suo fare burbero si nascondeva un uomo amorevole che avrebbe dato la vita per me specie da quando era mancata la mamma. Chissà se avesse saputo della mia scappatella pomeridiana come l’avrebbe presa? Non avevo mai avuto segreti per lui ed ora morivo dalla voglia di raccontargli tutto, solo che avevo paura della sua collera … e preferii tacere.
― Grazie papà, ma è inutile andare a comprare della stoffa costosa se non so cucire, sarebbe sprecata ―
― Non ti preoccupare, so io come fare ― disse papà ― parlerò con zia Giuditta e vedrai che lei sarà ben contenta di insegnarti tutto quello che sa. Sotto la sua guida diventerai una sarta provetta! ― è ora che apprendi un mestiere che non sia solo lavorare nei campi e badare alle bestie e alla casa. Se dovesse succedermi qualcosa, tu come faresti a sopravvivere? Almeno finché non trovi il “morós” e ti sposi, allora ci penserà lui a te!
Non potei trattenermi dall’abbracciarlo stretto ―Niente e nessuno ti porterà via da me, non glielo permetterò! ― dissi con impeto mentre mi saliva un groppo in gola.

Lo abbracciai stretto

Papà aveva sempre una soluzione per tutto. Era da tempo che sognavo di imparare a cucire, eppure non avevo pensato a zia Giuditta – la sorella di papà – forse perché non mi era troppo simpatica.

Giuditta era zitella e in paese era additata come una “bestia rara” perché per i compaesani, non sposarsi equivaleva ad avere “qualcosa che non va”. E Giuditta poco alla volta si era isolata e chiusa in un mondo tutto suo. Nemmeno noi che eravamo i suoi parenti più prossimi sapevamo molto della sua vita e, presi dalla quotidianità, non trovavamo mai il tempo per andare a farle visita – papà era sempre troppo impegnato ed io ero troppo giovane per interessarmi ad un’anziana scomoda. Però su una cosa erano tutti d’accordo: Giuditta aveva delle “mani d’oro”: tutto quello che passava per le sue mani, che fossero tessuti, filati, lana o feltro, ne uscivano trasformati. Non c’era persona in paese che non avesse qualche oggetto creato da lei: un indumento, una coperta, una tenda, un tappeto o un ricamo. Perciò avrei dovuto mettere da parte la mia diffidenza e farmela andare a genio se volevo imparare!

Finito di cenare, papà andò di filato a letto mentre io riordinavo. Di certo ero ancora troppo eccitata dagli avvenimenti della giornata per poter dormire, così mi cambiai e, attratta dai riflessi argentei che la luna irradiava sugli alberi intorno alla casa, uscii in giardino a godermi la frescura silenziosa della sera. Trovai Mirches che aveva una voglia matta di giocare e per non deluderlo restai con lui a correre e saltare fino a che, sfiniti, ci addormentammo sull’erba uno accanto all’altra!

giocare con Mirches

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